Aiuti della Croce Rossa ai profughi in Bosnia ed Erzegovina
Migliaia di profughi sono bloccati in Bosnia ed Erzegovina e vivono in condizioni precarie. Con il sostegno della Croce Rossa Svizzera, le équipe mobili della Croce Rossa Bosniaca forniscono beni di prima necessità alle persone in difficoltà.
Testo: Katharina Schindler
Fa freddo e piove, la mattina di fine autunno in cui saliamo sull’auto della Croce Rossa a Bihać. Situata nel Cantone di Una-Sana, questa città si trova al confine nord-occidentale con la Croazia. Quest’area registra uno straordinario afflusso di profughi che rimangono bloccati qui nel tentativo di raggiungere la Croazia, parte dell’Unione Europea.
La Croce Rossa Svizzera sostiene un’équipe mobile della Croce Rossa Bosniaca che si occupa di loro. Come ogni mattina, il team composto da tre uomini e una donna carica sull’auto decine di pacchi di viveri e kit igienici. E poi coperte, qualche vestito, scarpe e la cassetta di primo soccorso.
Un solo obiettivo: l’Unione europea
Insieme, ci lasciamo alle spalle la città e andiamo verso nord, superando campi incolti e gruppi di case. Sullo sfondo si staglia una lunga catena montuosa. È la stessa che, notte dopo notte, decine di persone tentano di attraversare per raggiungere l’Unione Europea. Dall’auto della Croce Rossa, Husein Nuhic scruta il paesaggio: «A volte qui incontriamo persone esauste che hanno tentato la traversata la notte prima ma sono state scoperte dalla polizia di confine e rimandate indietro. Molte di loro hanno bisogno del nostro aiuto perché sono affamate, ferite o in stato di ipotermia».
BUONO A SAPERSI
Senza vie d’uscita
Sempre più persone tentano di arrivare in Europa occidentale passando per la Bosnia ed Erzegovina. Dal 2018 sono state registrate 75 000 persone. Il Paese, economicamente debole e politicamente diviso, ha però già i suoi problemi da affrontare. Una persona su cinque vive in povertà e la pandemia di coronavirus non ha fatto che peggiorare la situazione. Le autorità sono sopraffatte dal flusso di migranti. Esistono otto campi regolari gestiti da autorità e organizzazioni internazionali, ma non bastano. Soltanto nel Cantone di Una Sana ci sono circa 2000 profughi senza un tetto, e la loro situazione si aggrava con l’arrivo dell’inverno.
In una casa abbandonata non lontano dalla strada principale incontriamo due famiglie afghane che hanno 9 figli in totale. Sono riconoscenti per il pane, la carne in scatola e i datteri che ricevono dall’équipe mobile della Croce Rossa. «L’acqua la prendiamo dai vicini. Sono molto gentili con noi», dice Mohammad Nasim Arab. Questo padre di famiglia ci racconta di aver lasciato il proprio paese d’origine quindici anni fa. Due dei suoi figli sono nati in un campo profughi iracheno.
Bambini in fuga
Molti di loro parlano bene inglese, anche meglio dei loro genitori, che rimangono in disparte. Sonja, 12 anni, racconta: «Degli uomini armati hanno minacciato di uccidere mio padre perché si rifiutava di lavorare per loro. Per questo siamo scappati dall’Afghanistan». Ha imparato l’inglese lungo la strada, in un campo profughi serbo. Anche Sahar, 9 anni, racconta della sua fuga. Storie difficili, di violenza e naufragi.
Ci sono l'uno per l'altro nel momento del bisogno
L’équipe della Croce Rossa conosce i luoghi isolati in cui i migranti cercano riparo: case diroccate, capannoni industriali fatiscenti, container. Incontriamo persone esauste ovunque, riconoscenti anche per il più piccolo aiuto. La maggior parte di loro viene dall’Afghanistan, dal Pakistan o dal Nord Africa. Incontriamo anche una giovane dello Sri Lanka, ormai in viaggio da due anni. È difficile immaginarsi cosa debba aver passato, sola su queste rotte. Ora però ha fatto amicizia con un gruppo di pakistani. «Mi trattano come una di famiglia e mi proteggono. Sono molto contenta» dice sorridendo.
Anni sulla strada
Molti profughi hanno attraversato una lunga odissea prima di arrivare qui e le storie che ci raccontano sono tutte tristemente simili: hanno abbandonato il loro Paese per necessità e disperazione, viaggiato per anni e già tentato più volte di arrivare in Croazia. Ma in pochi ci riescono, perché il confine è ben sorvegliato. Molti ci raccontano di gravi episodi di violenza da parte della polizia di confine.
I volontari della Croce rossa fanno quello che possono
Come reagiscono i giovani volontari della Croce Rossa, che sono quotidianamente esposti a queste storie? «Sono semplicemente contento di poter fare qualcosa per loro», afferma Husein Nuhic, 21 anni, che lavora da un anno e mezzo con l’équipe mobile.
Husein Nuhic va di tenda in tenda con lo zaino del primo soccorso sulla schiena. Il volontario disinfetta piccole ferite, mette la crema su caviglie doloranti, distribuisce qualche antidolorifico, sempre attento alle esigenze di chiunque incontri. Un giovane padre viene da lui con il figlio malato tra le braccia. Il volontario misura la febbre al bambino: «Deve andare in un campo regolare, lì troverà assistenza medica per il piccolo», dice prima di chiamare per organizzare il trasporto.
I bisogni specifici delle donne
La sua collega Melina Masukovic distribuisce articoli per l’igiene (sapone, gel doccia, spazzolini, assorbenti). Sono soprattutto le donne a voler scambiare con lei quattro chiacchiere. Molte persone hanno problemi di salute.
Anche la popolazione locale soffre
«Queste persone hanno vissuto dei momenti difficili e devono essere trattate con rispetto. È una questione di umanità», dice Husein Nuhic. Ma non bisogna dimenticare la gente del posto. «Sensibilizziamo i migranti a trattare la popolazione locale con rispetto, e viceversa».
Per evitare tensioni e nuove ingiustizie, la Croce Rossa aiuta anche le famiglie bosniache in difficoltà. Per esempio tramite gli aiuti invernali per le famiglie povere, finanziati con l’iniziativa «2 x Natale» della CRS.
Regalate un barlume di speranza
La sicurezza di profughi e migranti nell’Europa dell’Est è fondamentale. Le équipe sul posto fanno tutto il possibile per evitare la perdita di vite umane. Aiutateci a tendere loro una mano e a tutelare la loro dignità.