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Tre uomini portano via i rifiuti con un rimorchio per biciclette.

Cox’s Bazar: riciclare per vivere meglio

Reportage

Cox’s Bazar, in Bangladesh, è il più grande campo profughi del mondo. Le persone rifugiate qui vivono in condizioni estremamente precarie. La CRS si impegna perché ricevano assistenza sanitaria e sostiene lo smaltimento dei rifiuti.

Testo: Sonja Gambon Foto: T.M. Faisal, CRS

È una mattinata calda e umida e Muhammad Ishak e Syed Noor stanno percorrendo un sentiero stretto e ripido nel campo 15 di Ukhiya nel distretto di Cox’s Bazar. La pioggia della scorsa notte ha reso le strade scivolose e piene di fango. Per questo oggi dovranno ritirare i cassonetti a piedi e non, come le altre mattine, in sella alla loro bici equipaggiata di rimorchio.

Igiene e tutela dell’ambiente

Muhammad Ishak, Syed Noor e altri 74 uomini remunerati dalla Croce Rossa Svizzera (CRS) e dalla Mezzaluna Rossa del Bangladesh lavorano allo smaltimento dei rifiuti. Distribuiscono i cassonetti alle famiglie e passano a ritirarli. Nel centro di riciclaggio della Mezzaluna Rossa la differenziazione dei rifiuti viene effettuata a mano distinguendo tra i materiali organici, che vengono compostati sul posto, la plastica, che viene rivenduta o smaltita e la carta.

Lo scorso anno ogni collaboratore ha raccolto in media 100 kg di rifiuti a settimana. 

La CRS e la consorella locale si impegnano per la tutela dell’ambiente e per la salute degli abitanti del campo, che si occupano personalmente di attuare le misure: puliscono i sentieri e costruiscono reti di drenaggio che in caso di pioggia permettano all’acqua di defluire. Oltre a separare i rifiuti in base alla loro tipologia, gli uomini impiegati dalla Croce Rossa sensibilizzano le loro comunità all’importanza della raccolta differenziata.  

Notevole miglioramento della qualità di vita

L’iniziativa sta dando i suoi frutti, conferma Felicitas Ledergerber, delegata della CRS a Cox’s Bazar: «Gli abitanti del campo sono grati dello smaltimento dei rifiuti, che altrimenti si accumulerebbero formando vere e proprie montagne», con gravi conseguenze per le persone e l’ambiente: la sporcizia favorisce infatti il diffondersi di malattie. 
I rifiuti attirano ratti e zanzare, che nel periodo delle piogge favorirebbero la diffusione di malattie come il colera. L’immondizia potrebbe finire anche nei canali facendo così aumentare il rischio di allagamenti. Inoltre, se i rifiuti non venissero smaltiti, anche la plastica verrebbe bruciata o utilizzata come combustibile, causando infezioni delle vie aeree. 

Gli abitanti del campo sono grati dello smaltimento dei rifiuti, che altrimenti si accumulerebbero formando vere e proprie montagne.

Felicitas Ledergerber, delegata della CRS a Cox’s Bazar

Prospettive migliori

Nonostante i miglioramenti, la vita degli abitanti del campo rimane difficile. Guadagnare denaro, acquistare generi alimentari o coltivare la terra è praticamente impossibile. La sicurezza di queste persone è inoltre messa in pericolo dal fatto che la maggior parte di loro continua a vivere in alloggi provvisori. «Un campo profughi dovrebbe essere una soluzione temporanea. È impossibile viverci in maniera dignitosa», spiega Felicitas Ledergerber.

Piccoli cambiamenti quali un sistema di smaltimento dei rifiuti funzionante possono fare la differenza. Da un sondaggio della CRS risulta che il 99 per cento degli abitanti nel campo ha constatato un miglioramento della situazione. Muhammad Ishak e Syed Noor sono felici di poter fare qualcosa per migliorare la qualità di vita delle loro famiglie e delle altre centinaia di migliaia di residenti del campo. 

BUONO A SAPERSI

Cox’s Bazar: il campo profughi più grande del mondo

Nell’agosto del 2017 quasi un milione di persone sono state cacciate con la violenza dallo Stato di Rakhine nell’ovest del Myanmar. La maggior parte di esse vivono da allora nel Kutupalong Refugee Camp di Ukhiya a Cox’s Bazar, nel sud del Bangladesh. Da cinque anni questo campo profughi è la loro casa. La CRS sostiene l’assistenza sanitaria degli abitanti in collaborazione con la consorella locale.

La crisi ucraina rischia di far dimenticare le sofferenze di altri profughi che hanno più che mai bisogno di aiuto.

Sostenere le emergenze dimenticate

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